La
schiavitù negli Stati Uniti d'America fu un istituto previsto dalla allora vigente legislazione, esistita nel
Nordamerica più di un
secolo, prima della nascita degli
USA nel
1776, e continuata per lo più negli
Stati del sud fino al passaggio del
XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti nel
1865 a seguito della
guerra civile. Tale forma di schiavismo consisteva nell'assoggettamento di manodopera acquistata in
Africa da mercanti di schiavi per essere utilizzati come servitori e raccoglitori nelle
piantagioni delle colonie. La prima
colonia inglese dell'
America del Nord, la
Virginia, acquisì i primi schiavi nel
1619, dopo l'arrivo di una
nave con un carico non richiesto di 20 africani, dando vita così alla diffusione di quella che fino ad allora era una pratica delle colonie spagnole in Sudamerica. Molti schiavi erano africani di colore che appartenevano ai bianchi, ma una piccola percentuale di nativi americani e di gente di colore libera possedeva schiavi, ed alcuni di questi lavoratori forzati erano bianchi. Lo schiavismo si diffuse principalmente nelle zone in cui vi erano terreni molto fertili adatti per vaste piantagioni di prodotti molto richiesti, come
tabacco,
cotone,
zucchero e
caffè (questi ultimi erano merci importate). Gli schiavi si occupavano manualmente di arare e raccogliere in questi vasti campi. Nei primi decenni del XIX secolo gli schiavi erano concentrati maggiormente negli Stati del sud, dove venivano impiegati soprattutto nei campi di cotone e di tabacco. L'efficienza del lavoro era supervisionata da sorveglianti, che si assicuravano, anche con mezzi violenti, che gli schiavi rendessero il massimo.